I Celti nell'Italia Centrale

Indagine su una serie di indizi trascurati dall'archeologia ufficiale:
colloquio con Andrea Scatolini - di Gianluca Comastri

"Qui a Terni" esordisce Andrea Scatolini, "a solo cento chilometri dalla potente Roma, parecchie persone si stanno accorgendo che forse i Celti sono arrivati prima degli altri popoli, come dimostrato da toponimi come Gallese, Galleto, Lugnola (Città di Lug) e da svariate usanze e feste paesane poi sovrastate dal culto cristiano, ma piazzate in periodi assolutamente e inequivocabilmente non cristiani, come la sfilata di carri allegorici la notte del trenta aprile e l'accensione di fuochi nelle campagne, nella stessa notte".

Andrea Scatolini è sanguigno e verace come la gente della sua terra, e dice quel che ha da dire senza mezzi termini. Le forti radici con la sua terra, l'Umbria, e la passione con cui coltiva lo studio della cultura celtica lo stanno conducendo lungo un percorso tortuoso, fra cataloghi di biblioteche e paesotti dell'entroterra, ove occhi sapienti riconoscono al volo le vestigia di un passato remoto, la cui storia è probabilmente ancora da scrivere nei dettagli.
L'indagine è senza dubbio affascinante, e riporta alle origini dell'età classica, quando la stessa Roma era ancora lungi dal divenire caput mundi e la penisola italica rappresentava la meta ultima dei pellegrinaggi di molti popoli differenti. In pratica, quello che ne emerge è che il territorio umbro è letteralmente costellato di prove evidenti di una presenza celtica ben radicata territorialmente.

Il fatto singolare è che la storia ufficiale, pur rendendo la giusta evidenza della colonizzazione della Valle Padana da frotte di tribù galliche (più o meno mille anni prima di Cristo), non fa parola di stanziamenti nell'Italia centrale: la stessa marcia verso Roma, fra il 300 ed il 400 d.C., che sfociò nelle battaglie ove i Celti furono definitivamente scacciati, è ridotta ad una semplice calata dal nord, quasi come una scampagnata fine a se stessa. Evitando pericolose speculazioni circa l'opportunità di un simile atto da parte di un popolo quadrato e determinato come quello celtico, vi è comunque il modo di provare che, ragionevolmente, allorché attraversarono gli Appennini il loro non fu un semplice e fugace passaggio.
L'accettazione di tali conclusioni porterebbe a dover riconsiderare il ruolo che ebbero i Celti in Italia nel periodo preromano, dal momento che (inspiegabilmente) se si eccettuano pochi volenterosi dilettanti del luogo, sembra che agli occhi degli storici tale problematica passi totalmente inosservata. Ma, come si vedrà procedendo nella lettura, i documenti sono molteplici, ed anche di una certa entità.

L'ombra del dubbio

L'osservazione da cui è scaturita l'intera opera di ricerca è la seguente: "Nessuno dice chi sono gli Umbri, i Piceni, i Sanniti, ma i Senoni di Senigallia li conoscono tutti, erano Celti... i confini dei territori Etruschi erano dati dal Tevere fino alla Toscana così com'è, Chiusi, Orvieto e Perugia erano Etrusche; a sud, i Latini non si sono mai spinti più in su dei confini dell'attuale Lazio, i Sabini arrivavano giusti giusti nelle colline a sud di Terni, ma qui il buio. Questi Umbri erano dei perfetti sconosciuti".
Perfetti sconosciuti che, peraltro, seppero far mostra della loro presenza: pure in modo assai fragoroso, se è vero che furono i principali fautori del famoso Sacco di Roma, aggregando una gran mole di rinforzi fra le popolazioni locali. In merito, il nostro interlocutore ha la risposta pronta - e, come nel suo stile, molto vivace: "L'archeologia ufficiale bolla quasi come 'eresia' qualunque tentativo locale di ricerca di informazioni al di fuori della direzione in cui muovono gli storici; basti pensare a Brenno, che dopo aver saccheggiato Roma vi si è fermato per un po' di tempo, e non certo per qualche giorno come ci fanno leggere dai libri scolastici. Ma la storia, si sa, la fanno i vincitori". E vincitori, alla fine, furono proprio i Romani, che assestarono il colpo di grazia ai bellicosi Galli riportando una schiacciante vittoria nella battaglia di Sentinum, nonostante a fronteggiare questa superpotenza ante litteram si fossero aggregati Umbri e Sanniti.

Dunque, a giudicare dalle difficoltà in cui si dibattono i ricercatori "eterodossi" del Ternano, è stata compiuta una vera e propria opera di revisionismo, continuata anche dopo il tramonto dell'Impero. Inevitabilmente, anche la diffusione del cristianesimo deve aver contribuito ad occultare qualche testimonianza della cultura celtica del luogo, caratterizzando fortemente le cerimonie e le ricorrenze autoctone e dandovi una connotazione tipicamente cattolica. Prosegue Andrea: "Si dice che i nostri antenati fossero stati un po' restii nell'accettare il cristianesimo così come ci veniva predicato, tanto che San Francesco, da Assisi, aveva una visione particolare della natura e del mondo". Forse talune particolarità erano il retaggio di tradizioni secolari ormai ben radicate fra il popolo: vi è una chiesetta dell'epoca medioevale nell'abitato di Cesi, nel territorio delle Terre Arnolfe, ove parecchie asce bipenni scolpite (simbologia tipicamente gaelica) fanno da fregio a colonne e capitelli. Sta di fatto che un bel giorno a Norcia sbocciò il fervente movimento di Benedetto, distintosi fin da subito per il rigore con cui venivano quotidianamente messi in pratica i dettami della Regola; la gran parte delle antiche abitudini simil-pagane delle genti umbre venne accantonata. Ma il colpo di grazia lo diede il regime fascista, con la riproposizione in chiave propagandistica dei miti imperiali.

Desiderio di riscoperta

Come spesso accade in situazioni del genere - antiche verità da riesumare e divulgare, scienza accademica che non ritiene attendibile farlo, abitanti fortemente motivati e desiderosi di recuperare le proprie antiche tradizioni - alla base del movimento di studio vi è un personaggio carismatico, assolutamente fuori dagli schemi, lontano dallo stereotipo del ricercatore classico ed animato da una carica inesauribile. Nel presente caso, ad animare la riscoperta del celtismo ternano è stato il prof. Manlio Farinacci, recentemente scomparso: incurante delle critiche provenienti dagli ambienti di studio ortodossi, ha portato avanti fino all'ultimo le sue convinzioni, salvo che un eccesso di slancio lo ha condotto negli ultimi anni a produrre pubblicazioni in cui vengono tratte conclusioni alquanto estreme (Terni come città sacra e meta ultima di tutta la galassia celtica nel mondo, e simili), con l'ovvia conseguenza di veder bollate come farneticazioni anche le ricerche più meticolose ed attendibili. Vi sono però diversi libri precedenti a lui dovuti, purtroppo diffusi soltanto a livello locale nella sua città, nei quali si traggono conclusioni degne di menzione.

Passaggio o insediamento? Una proposta

Prosegue Andrea Scatolini: "Secondo il 'nostro' druido reincarnato, come amava definirsi Farinacci, i Celti Nahar giunsero nella pianura di Terni scendendo dalla Valnerina, una valle che collega Terni con i Piceni e le Marche, cioè l'ideale collegamento con i Senoni".
Per inciso, una possibile prova del contatto originale fra le popolazioni del ternano e del piceno potrebbe essere data dalla presenza ricorrente di motivi fallici scolpiti nella roccia, di cui sono costellati i monumenti antichi. Se così fosse l'introduzione del culto fallico nell'area in questione si dovrebbe ai Piceni, il popolo del Picus, ma non è da escludere che l'usanza di queste bizzarre sculture fosse in realtà un rituale scaramantico da attribuire ai Romani stessi.

In ogni caso, secondo la teoria di Farinacci i Nahar si insediarono nella conca, assai fertile, situata al punto d'incontro tra la Valnerina e la valle del Tevere, ove fondarono una (o addirittura più) città; il rinvenimento di una vasta necropoli preromana, essenzialmente costituita di tombe a pozzetto ed estesa su di un territorio che ricopre gran parte della città attuale.
Gli scavi archeologici effettuati, comunque, avrebbero rivelato una certa discontinuità dell'inurbazione: è plausibile che le città siano sorte nel corso di secoli per ondate successive, come in effetti sarebbe logico attendersi durante consistenti spostamenti di popolazioni che da nord spingessero verso sud - il che costiutirebbe un altro indizio in favore della penetrazione celtica nel centro della penisola, che si sarebbe arrestata unicamente dinanzi al blocco costituito da Roma, ove gli accenni di scorribande celtiche venivano tenuti a freno.
L'aggregato cittadino così formatosi non a caso venne denominato, in epoca romana, Interamna Nahars. L'ipotesi renderebbe ragione della mancata espansione degli Etruschi verso est: la loro avanzata avrebbe trovato un ostacolo nell'ormai radicato stanziamento celtico, compatto e consistente. Tuttavia vi è ragione di ritenere che fra le due popolazioni si fosse avviata una rete di scambi commerciali.

Prove, documenti, circostanze

Del sacco di Roma si era già brevemente accennato: bande di predoni Celti, unite a schiere provenienti dagli abitati locali, sotto la guida di Brenno attaccarono la città capitolina, la misero al sacco apportando cospicue distruzioni, indi si stabilirono nei dintorni per un certo periodo di tempo. Per portare a compimento un'impresa del genere occorse pertanto un esercito forte e ben armato, ed anche di una certa consistenza, al punto da attraversare il Tevere e a muovere verso sud da entrambe le sponde. Secondo la ricostruzione di Farinacci, il ponte per la traversata fluviale fu costruito nei pressi di Orte, a Gallese: un toponimo decisamente celtico.

"Io non sono esperto di toponomastica" riprende Andrea Scatolini, "comunque posso assicurare che di nomi strani qui ce ne stanno molti"; è quello che sta risultando da una ricerca parallela, condotta quasi per scherzo assieme ad un altro appassionato locale, col pallino delle lingue gaeliche. C'è un paese chiamato Dunarobba, che deve la sua notorietà alla vicinanza della Foresta Fossile. Si dà il caso che in gaelico Dun a Robb suoni press'a poco come "Fortezza Grande"; sulla planimetria catastale nei paraggi sta scritto proprio "la Fortezza", e poco distante è indicata la località di Fortezza Piccola. Casualmente, ma non troppo, nelle campagne tra Narni e Otricoli vi è la chiesa di S. Angelo in Massa, a poca distanza dalla quale si trova una pietra ove campeggia scolpita un'inequivocabile svastica; per amor di nozionismo, Otricoli corrisponde alla latina Otriculum, borgo romano sulla Flaminia, ma Narni sarebbe nientemeno che la Città dei Nahar. Proseguendo, sulla montagna che sovrasta l'abitato di Terni è ben visibile un terrazzamento, in cima al quale fa bella mostra di sé un'altra chiesetta della quale colpisce lo stile architettonico, tipicamente megalitico, il cui componente elementare sembra essere il blocco di pietra squadrato - ma di enormi dimensioni. Sugli stessi monti è stata rinvenuta una pietra runica. Un altro toponimo che induce a riflessione è Morgnano: pare che Morg Nam significhi qualcosa di simile a "recinto di maiali", ed effettivamente nei pressi di Morgnano sorge il villaggio di Porcivalle. Procedendo analogamente, nel luogo in cui la Valnerina entra nella pianura di Terni vi è un ponte d'epoca romana, chiamato Ponte del Toro: dal celtico, Pont au Tor significa più o meno Porta di Ingresso, con chiaro riferimento all'imbocco della vallata ternana. Sui monti Martani, ricoperti di boschetti di querce e lecci, affiorano un paio di templi attribuibili alla civiltà umbra. Per finire la disamina, sopra il centro abitato di Lugnola, la già citata Città di Lug, vi è un tempietto analogo, anch'esso dai tipici tratti dell'architettura umbra di quel periodo. Curiosamente, ma solo fino ad un certo punto, la festa del paese si svolge il primo di agosto, il che coincide con la ricorrenza celtica di Lugnasad.

L'interpretazione degli indizi

Una considerazione nasce spontaneamente dalla disamina dei fatti esposti nella presente pagina, ed è che tribù di origine celtica giocarono nella bassa Umbria un ruolo tutt'altro che secondario, nel lasso di tempo che va dagli albori dell'epoca romana al IV-V secolo circa. Per quanto colorita possa essere stata la visione del prof. Farinacci negli ultimi anni, le tracce lasciate sono talmente copiose ed evidenti che risulta difficile rigettare a priori l'ipotesi che la famosa civiltà degli Umbri non derivi da un ramo celtico, o quantomeno che i Celti non si siano stabiliti in Umbria per un periodo di tempo tutt'altro che breve. Si badi bene, vi sono resti di templi, edificazioni, necropoli e città: anche in questo caso, come in altri spunti per la ricerca tratteggiati nella pagina archeologica, si tratta di reperti litici, ovvero pietre, e anche queste sono pietre che parlano: raccontano di un popolo che discese nell'Italia centrale col chiaro intento di dimorarvi a lungo (altrimenti a che pro erigere una tale quantità di costruzioni?).
Il fatto poi che si ritrovino necropoli e tombe pare una autentica prova della veridicità di quanto affermato. Sempre Andrea Scatolini ci informa che "su qualche newsgroup ho letto da un collega di Orvieto, in piena Etruria, che lì è stato ritrovato un carro all'interno di una tomba, appartenente inequivocabilmente ad un personaggio celtico di lignaggio elevato". Sarebbe alquanto singolare che un popolo dedito soltanto a fugaci incursioni dalla pianura Padana si preoccupasse di seppellire in maniera tanto sfarzosa un capo o un condottiero alle porte del Lazio.

Eppure l'archeologia e la storia ordinaria parlano chiaro: i Celti transitarono rapidamente, per un motivo o per l'altro, attraverso gli Appennini, e non andarono mai oltre Roma. "Per quello che mi riguarda ho provato a cercare testimonianze anche su fonti esterne alla mia regione e alla mia città, ma in tutte la penetrazione celtica a sud è rappresentata da una misera freccia che punta dalla Romagna verso Ascoli e niente più. L'archeologia ufficiale non ci dà nessun conforto. I libri di Farinacci neanche, sono troppo sconclusionati e a volte privi di fondamento", conclude Andrea con una punta di amarezza. Rimane però una messe di dati e di prove tangibili su cui ragionare, e non è escluso che in qualche remota e semisconosciuta biblioteca della bassa Umbria giacciano le pagine che consentiranno di chiarire definitivamente le controversie circa l'interpretazione di tutti i reperti sparsi per il territorio.

La pista è ormai tracciata, e la macchina indagatrice è in moto. Non è escluso che, a breve, saremo in grado di pubblicare ulteriori sviluppi ed aggiornamenti. Per qualsiasi segnalazione, o richiesta di ulteriori chiarimenti, non esitate a lasciare un messaggio, per il quale ringraziamo fin da ora.

Bologna, li 31/08/2000 Torna al livello precedente


AGGIORNAMENTI

Di seguito sono riportate alcune altre usanze delle terre umbre, sempre raccolte dal coautore della presente pagina, forse in qualche modo riconducibili ad antichi riti tipici della cultura celtica - di certo non di quella italica.

Bologna, li 23/02/2001 Torna al livello precedente