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(gennaio 2007)

Il bersaglio mancato

Tra la fine del 2000 e l'inizio del 2001, dunque l'epoca in cui lo Spazio muoveva i suoi primi passi, ebbe luogo un diverbio piuttosto acceso con il curatore del movimento ateo Atheia con tanto di rispettive lettere aperte pubblicate su ciascun sito. Il fatto scatenante fu, sostanzialmente, il modo superficiale e discriminatorio con cui la posizione atea veniva (e viene, ahimé) contrapposta a quella filoclericale. Il risultato, piuttosto deludente, è una sterile contrapposizione di opposti integralismi, quando invece una posizione meno assolutista sarebbe assai utile nello smascherare le contraddizioni esistenti in ambito clericale senza per questo demonizzare ogni forma di spiritualismo. Una grossa occasione persa: l'associazione promuove in maniera assai valida il libero pensiero, divulgando manifesti ideologici di noti filosofi, ma il tutto perde di efficacia a fronte di tanto astio indiscriminato verso le confessioni in toto - anziché, come logica e dialettica vorrebero, dirigerlo solo contro le contraddizioni succitate. Segue, a futura memoria, qualche stralcio di quell'infelice epistolario.

I limiti di un «superficialismo» autoimposto

Comincio (volutamente) con due manifestazioni scrittorie alquanto infelici - il presentre preambolo, pletorico e forse leggermente fuorviante, il quale mi è però necessario per esplicitare la mia perfetta consapevolezza del fatto che segue, vale a dire che «superficialismo» sia un neologismo spiacevole al limite dell'impudicizia intellettuale.
Il termine è stato coniato ad hoc per la circostanza. Con esso intendo definire un sommovimento culturale, tipico di chi settorializza arbitrariamente la sua visuale del mondo, evitando deliberatamente di approfondire talune tematiche essenzialmente in obbedienza a limitativi preconcetti.

Il pensiero superficiale

Atteggiamenti «superficialisti», nel materiale pubblicato su Atheia, ve ne sono svariati. Lasciando da parte il dibattito politico, dove giocoforza lo scontro "deve" essere scorretto e sostenuto demagogicamente (la storia, nei millenni, si ripete), non si può pretendere di liquidare la dicotomia tra laicità e religiosità bollando tutto ciò che è spirituale come perverso, propagandistico o addirittura coercizione in malafede.

Culturalmente, disconoscere la ricerca spirituale equivale a disconoscere la storia del genere umano. Il "concetto" di Dio è preistorico, l'idea della divinità è atavica. Non voglio credere che un ateo sarebbe così meschino da pensar male di quel primitivo che "per primo" formulò su se stesso un abbozzo di pensiero metafisico. Quello, quasi sicuramente, non lo fece per un interesse personale, dato che i suoi interessi personali dovevano essere limitati alla ricerca di cibo e riparo.

La contestazione superficiale

A quale scopo inveire con tanta prolissità, rivendicando frase dopo frase quanto è bello librare il proprio intelletto al di fuori delle pastoie della catechesi?

La risposta che pare di leggere fra le righe è una sola: per puro spirito di rivalsa.

Dalle pagine "programmatiche" del sito Atheia emerge prepotentemente il desiderio di ripagare con la sua stessa moneta l'alto clero e la sua ristrettezza di vedute. «Loro ci ghettizzano? E noi ghettizziamo loro...».

La presunta ricerca di una verità "diversa", "libera", "aperta", in realtà scaturisce da una naturale antipatia verso l'atteggiamento anticristiano del Clero moderno. Sul fatto che fra gli alti prelati difettino buoni esempi di messa in pratica della predicazione evangelica penso non vi siano dubbi. Però, calunniare artificiosamente la divinità per le colpe commesse da uomini che si fregiano del sacro in modo arbitrario è fuorviante. Nessuno può dichiararsi intellettualmente onesto e nel contempo arrogarsi il diritto di confutare una tradizione culturale plurimillenaria, come quella dei testi sacri, semplicemente dicendo "Dio non esiste perché non lo vedo, non lo sento, non lo tocco; inoltre, i suoi uomini sono in malafede".

Al di là del fatto che purtroppo alcune volte la fonte, per dileggiare divinità e adoranti, ricorre al turpiloquio, resta il nonsenso di criticare un Dio con cui si rifiuta a priori di confrontarsi, dopo aver castrato da sé una parte fondamentale dell'essere umano - la sua dimensione spirituale. Basta leggere la motivazione (?) con cui viene giustificata la correttezza del materialismo: "...i religiosi, gli integralisti, i fanatici di ogni religione, credenza e setta hanno fatto di tutto per dipingere il materialista come un essere malvagio, gretto, egoista, attaccato al denaro, al potere, al prestigio personale. Oltre che non essere vere, ovviamente, tutte queste caratteristiche sono state quelle, invece, di gran parte delle chiese e delle caste religiose: la chiesa cristiana in generale e quella cattolica in particolare". A ciò si potrebbe opporre il fatto che le prime comunità cristiane erano all'opposto di quanto millantato in queste righe, ma obiezioni del genere non sono mai state nemmeno prese in esame, durante il breve ma intenso carteggio. Eppure è innegabile la profondità di certa ricerca spirituale svolta in ambiti extraclericali, come in taluni sistemi filosofici - e in quel sito la filosofia, sia pure presentata solo nella misura in cui non contrasta con gli scopi che si propone, abbonda...

A poco più di una settimana dalla pubblicazione del brano qui riassunto, la relativa replicacomparve nella pagina delle lettere del sito - una raccolta piuttosto vasta, ragion per cui era necessario scorrere la pagina suddetta prima di imbattersi nel testo qui presentato. Non si trattò peraltro di una replica in senso stretto; gli autori si limitarono a sostenere con foga le loro posizioni, praticamente riducendo la dialettica al minimo indispensabile per respingere gli «insulti» al mittente. Peraltro tali presunti «insulti» erano, se non giustificati almeno adeguati ai toni pesantemente irriguardosi con cuisi liquidavano, qualunquisticamente, atteggiamenti di fede come per esempio la santificazione del Natale.
Le associazioni atee hanno tutti i diritti di esporre il loro pensiero nella più completa libertà, ma ciò non autorizza in alcun modo esternazioni come l'abominevole trafiletto in questione e altri campionari di generalizzazioni stereotipate che lo seguono.
Assai più agevole sarebbe rapportarsi all'ateismo se questo fosse presentato con le illuminate e illuminanti parole di Umberto Galimberti ("D" n° 237 del 6 febbraio 2001); «...l'ateo non esiste se non nella definizione che i credenti danno a coloro che non credono. E nessuno si trova bene in una definizione che altri confezionano per lui. Quelli che solitamente sono definiti "atei" sono persone che nel loro pensiero e nella loro azione si attengono rigorosamente ai dettami della pura ragione che, essendo ciò che gli uomini hanno in comune, è l'unico terreno possibile per un proficuo confronto.
«Se anche i credenti si attenessero a questo principio si potrebbe fare a meno della distinzione tra credenti e non credenti, con enormi vantaggi per la buona conduzione delle scelte politiche e dell'azione sociale. Ma per questo occorre attendere un'ulteriore maturazione dell'uomo. L'illuminismo, che professava questo principio, è stato una breve parentesi nella storia d'Occidente, e ancora attende di diventare la forma della convivenza umana».
Riesce però difficile pensare che i credenti saranno un giorno disposti a fare ammenda, fintantoché il movimento ateo riserverà loro lo stesso trattamento di discriminazione ideologica cui tanta influente parte del clero ama ricorrere verso qualsiasi minima deviazione dall'ortodossia.