Uno sguardo alle origini

Edizione del 19 novembre 2000

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INTRODUZIONE

Chi non si è mai domandato a cosa serve studiare la storia?

Ovviamente si tratta di una questione oziosa, ma pochi arrivano a comprenderlo, e quei pochi di solito giungono a tale conclusione molto tempo dopo aver concluso il loro percorso di studi. E a questo punto, scatta il desiderio di recuperare il tempo e le nozioni perdute.
Il verbo servire mal s'attaglia alla cultura, in generale. Non ha senso dire che conoscere un dato argomento «serve» più che non un altro: le conoscenze sono tutte utili allo stesso modo. Come il fisico va tenuto allenato con lo sport, così la mente va esercitata con l'apprendimento continuo, i ragionamenti, persino con giochi ed enigmistica. Più aumenta la propria cultura personale, maggiore è il proprio grado di indipendenza, e minore sarà la possibilità di essere manipolati da qualcun altro, in buona o mala fede.

È il caso della storia antica. Proprio perché in molti sono convinti che conoscerla non «serve», ci si accontenta di quei pochi concetti che una ristretta casta di esperti del ramo trasmette al resto dell'umanità in forma di testi divulgativi e libri scolastici, di solito in seguito a clamorose dispute reciproche per affermare la validità delle proprie teorie a danno di tutte quelle concorrenti.
Conoscere bene taluni aspetti della protostoria dell'umanità sarebbe invece fondamentale. Bene o male, causa limiti di tempo per svolgere compiutamente il programma di studi, la scuola inizia lo studio della storia da un periodo relativamente recente; Il periodo che va dalla comparsa dei preominidi, dal significativo passaggio dei loro gruppi dallo stato di branco a quello di tribù, fino alla nascita delle grandi civiltà mediterranee, babilonese ed egiziana, è solitamente liquidato entro le prime due lezioni. Un minimo di impostazione e di cura nei dettagli si ha solamente analizzando gli eventi succedutisi a partire da due o tremila anni avanti Cristo.

Eppure, gli eventi che hanno dato origine alla nostra razza si sono verificati prima.
Come è possibile tentare di comprendere un fenomeno complesso, quale la civiltà umana, se si rifiuta di analizzarne dovutamente le origini?
Vero è che, arretrando nel tempo di molti millenni, considerando eventi la cui memoria è ormai quasi completamente perduta, e di cui testimonianze e documentazioni storiche sono invero assai scarse, è arduo formulare teorie basate su dati inoppugnabili; molte argomentazioni devono necessariamente essere frutto di speculazioni. Di conseguenza, la probabilità di diffondere cognizioni infondate è elevata e, giustamente, non è sbagliato evitare di dffonderle al pubblico di massa fintantoché non se ne verifica sufficientemente l'attendibilità.

Ritengo tuttavia che sia paradossale che, attualmente, le conoscenze sui dinosauri siano molto più progredite che non quelle sulla comparsa dell'homo sapiens. Ormai, si potrebbe quasi "disegnare" l'asteroide che, secondo alcuni, eliminò i grandi rettili dalla faccia del pianeta ancor giovane; ma il fatto che i nostri progenitori siano comparsi contemporaneamente in più continenti, soppiantando gradatamente le grandi scimmie, delle quali non erano discendenti per evoluzione, è forse meno stuzzicante (e per l'enigma bioantropologico che rappresenta, e perché in quanto uomini ci riguarda molto più da presso che non ai sauri, coi quali non abbiamo granché da spartire)?

A questo tema, per tentare di colmare parzialmente tale lacuna culturale, è dedicata la presente sezione del sito.

PRIMA DELL'UMANITA'

Il genere umano ha compiuto i passi più significativi del suo percorso evolutivo nel giro degli ultimi due milioni di anni: periodo notevole se paragonato al metro di misura della media di una vita umana (calcolando quest'ultima in 75 anni, poniamo, si ottiene che il periodo in questione misura ventiseimila e seicentosessantasei vite d'uomo, più una teoria infinita di decimali dopo la virgola), ma poco meno di un istante su scala cosmica.
La Terra ha, grosso modo, cinque miliardi di anni, e già tre miliardi di anni fa le condizioni climatiche e geologiche erano abbastanza stabili da consentire il proliferare dei primi organismi viventi. Volendo considerare il fatto che i primi organismi di una certa complessità comparvero, a quanto è dato sapere al giorno d'oggi, più o meno seicento milioni di anni fa, si può affermare - speculando - che la nostra civiltà avrebbe potuto giungere all'attuale grado di sviluppo altre trecento volte prima di giungere all'epoca odierna.

Ne deriva che, quanto a possibilità teorica, il pianeta avrebbe potuto comodamente ospitare almeno qualche altra civiltà prima della nostra. Questa è un'affermazione speculativa, ma solo fino ad un certo punto.
Poniamo il caso di incontrare un archeologo di formazione tradizionale, e di porgli le semplici considerazioni di cui sopra. L'ovvia risposta che se ne riceverà sarà che, di un fatto simile, della presenza cioè di vita intelligente in periodi anteriori allo sviluppo delle comunità umane, non vi sono prove, quindi la questione non ha senso pratico. Tornando ai dinosauri, nonostante la loro estinzione massiccia risalga - secondo le teorie più comuni - ad almeno sessantacinque milioni di anni fa, copiose tracce del loro passaggio su questa terra si possono ammirare sotto forma di fossili: sebbene grandi sconvolgimenti climatici ed ambientali si susseguano periodicamente, col risultato di apportare significative mutazioni dell'ecosistema (come quelle in seguito alle quali i grandi rettili scomparvero), ogni tanto vengono riesumati resti fossili ben conservati che permettono di risalire a molte caratteristiche biologiche e morfologiche degli animali estinti. Viceversa, non si sarebbe mai ritrovata alcuna vestigia di cui fosse comprovata l'appartenenza a fantomatiche civiltà prediluviane, né tantomeno ad altre ancora più antiche.

E se invece le prove ci fossero, ma non fossero riconosciute come tali a causa dell'incompiutezza delle ricerche tuttora in atto (o, Dio non volesse, per la malizia di qualche ricercatore "ortodosso")?
In fondo, solo pochi secoli addietro si riteneva che la Terra non avesse che qualche migliaio di anni. Solo in seguito i metodi di ricerca si sono affinati al punto da stabilirne l'età con qualche fondamento veritiero, per mezzo della datazione basata sul decadimento radioattivo. Per non parlare dell'annosa questione fra eliocentrismo e geocentrismo, una delle cantonate più clamorose della scienza benpensante legata al potere secolare, che si è trascinata per millenni a suon di dotte dispute fra arditi ricercatori ed ermeneuti tradizionalisti. Se è vero che, a tutt'oggi, non vi sono evidenze attendibili relative a civiltà avanzate più antiche di quella sumera, parimenti non vi sono prove che negano tale possibilità.

C'è di più. Pur privi di riscontri tangibili, diversi documenti scritti risalenti alla tradizione culturale della Fertile Mezzaluna, piuttosto che dell'Egitto o dell'India, per tacere delle leggende celtiche, riferiscono di culture evolute più antiche di quelle umane. La Bibbia (Genesi, cap. 6), i Veda e il sacerdote egizio Manetone attribuiscono grande importanza alla stirpe, che tutte le fonti definiscono come semidivina, in auge quando l'umanità era ancora ai primordi del suo cammino; quest'ultimo, poi, circoscrive addirittura un periodo cronologico di trenta-trentacinquemila anni prima delle dinastie faraoniche in cui questi presunti esseri avrebbero vissuto ed operato. Cosa curiosa, le mitologie di tutte le antiche civiltà dell'America centromeridionale sembrano ricalcare più o meno esattamente la "leggenda" di Osiride". Se la si vuole ammettere come coincidenza, bisogna sconfessare il dato di fatto secondo il quale ciascuna cultura si sviluppa secondo il retaggio delle epoche e delle zone in cui vive. Sarebbe un po' come scoprire che gli abitanti delle isole dell'Atlantico, isolati culturalmente dall'Oriente, avessero l'abitudine tipicamente cinese di alimentarsi usando i bastoncini. Viceversa, il sushi rimane una tipica specialità giapponese, e nella dieta della Pampa non v'è nulla che gli somigli, mentre si somigliano - e molto - le leggende sul Diluvio Universale e sulla susseguente venuta dei semidei.
Sono riferimenti abbastanza coerenti fra loro, da destare l'interesse e lo stimolo a verificarne la veridicità.

Non tutte le fonti però sono tanto vaghe e sfuggenti. Ultimamente assistiamo ad un proliferare di immagini fotografiche (delle quali, data la loro concretezza, è arduo a questo punto negare l'esistenza) relative a resti di grandi città con templi sontuosi e significative costruzioni in pietra. Ve ne sono sia nelle acque africane che in quelle giapponesi. Dal momento che il patrimonio storico tradizionale, propostoci dalla pubblica istruzione, non ne fa parola, si può presumere che debbano essere molto antiche, risalenti a periodi anteriori all'epoca storica comunemente intesa - vale a dire, gli ultimi settemila anni.

Questa è solo una parte delle circostanze da chiarire in merito a quanto accadeva agli albori della storia dell'uomo.
Altri ragguagli in merito sono disponibili in un articolo ben dettagliato, facente parte dell'archivio del sito Misteri.it.

TRACCE DA EPOCHE REMOTE

Gli ipotetici indizi che suffragherebbero la teorica possibilità dell'esistenza di almeno una grande civiltà, che raggiunse il suo apice in un periodo anteriore al nostro periodo storico - l'ordine di grandezza del periodo in questione sarebbe delle decine di migliaia di anni avanti Cristo - non si riducono a poche citazioni di testi sacri, più o meno leggendari. Vi è ragione di ritenere che, anche analizzando le più antiche vestigia dell'attività umana, vi sia più di una circostanza per la quale la spiegazione data dall'archeologia ufficiale sembra andare stretta, e non tener conto di alcuni aspetti evidentissimi, ma difficilmente inquadrabili nel contesto di un'analisi storica.

Tanto per rendere un'idea di quanti, e quali, siano i problemi tuttora inesplicati relativi ai reperti storici più antichi, si provi a prendere in esame qualche caso - tanto evidente e concreto all'apparenza, quanto liquidato frettolosamente nelle relazioni scientifiche:

Tutti questi indizi sembrano denotare che, in un remoto passato, qualcuno si barcamenava fra tecnologie paragonabili a quelle odierne. Tanto per stuzzicare vieppiù la curiosità, senza che gli archeologi debbano aversene a male, diversi monumenti antichi di tutto il mondo, dal Giappone ai reperti precolombiani, sono realizzati con blocchi megalitici del peso di decine di tonnellate, che in casi arrivano alle centinaia di tonnellate.
Nel XX secolo, i cantieri in grado di portare a compimento lavori di una simile rilevanza sono due o tre su tutto il pianeta. Un consorzio giapponese tentò di realizzare una piramide megalitica in scala ridotta; le attività dovettero essere abbandonate, con la struttura appena abbozzata che stava crollando su se stessa.

Che fine hanno fatto le conoscenze tecniche che hanno permesso di erigere i maggiori complessi monumentali del mondo antico? Dall'epoca storica ad oggi, seppure a strappi, la cultura ha sempre camminato in una direzione, quella del progresso. Oggi si edificano palazzine di tre piani che crollano dopo cinquant'anni, ma Stonehenge e le Piramidi sono ancora lì dove gli ingegneri dell'epoca le hanno costruite. Come può l'uomo aver concepito nozioni talmente avanzate da poter essere a fatica comprese nell'era del microprocessore, e poi averle dimenticate?

Se è arduo ammettere che una preesistente civiltà più avanzata abbia trasmesso una parte consistente del suo sapere agli antichi, altrettanto arduo sarebbe dare una valida spiegazione di un regresso culturale, che avrebbe un che di inedito.

Pur non volendo concedere troppa fiducia ad una teoria che è ancora tutta da dimostrare, bisogna però riconoscere che tale teoria meriterebbe di essere considerata con rigore scientifico, e non relegata a priori nel ghetto in cui, abitualmente, gli scienziati di più strette vedute ammassano tutto ciò che non vorrebbero che esistesse - le cosiddette "scienze occulte". Per chi volesse tentare un'esplorazione del genere, un buon punto di partenza è il sito messo a disposizione dagli autori di Panta Rhei, dove sono state raccolte tutte le testimonianze disponibili su quanto potrebbe essere accaduto prima dell'avvento degli uomini, e in base a detti reperti si azzarda qualche ardita teoria. Per ulteriori riflessioni, di carattere più strettamente accademico, circa le sbalorditive nozioni già in possesso delle culture planetarie più antiche, consiglio una capatina alla pagina archeoastronomica dei curatori del sito «Via Lattea».

LE PIETRE CHE PARLANO

Per meglio comprendere come la maggior parte delle ricerche storico-archeologiche presentino tuttora punti oscuri, non c'è niente di meglio che analizzare qualche esempio concreto. L'esempio per antonomasia di un sito archeologico ricco di misteri da chiarire è quello del plateau di Giza.

Fin dalle prime classi elementari apprendiamo che il complesso monumentale di Giza, situato a pochi chilometri dal Cairo, era una gigantesca struttura funeraria destinata all'eterno riposo delle spoglie dei Faraoni della quarta Dinastia, che ne sarebbero stati gli edificatori. Interpretazione che, ad un primo esame frettoloso, pare ineccepibile; senza dubbio nessuno scolaro tediato dall'obbligo scolastico è in condizione di obiettare.
Non appena in condizione di inquadrare il problema con mente più elastica, però, risulta altrettanto evidente che qualcosa non quadra. Vale la pena di soffermarsi per qualche attimo sulla tavola che mostra una prospettiva degli edifici sacri. A meno che non vi siano altri ambienti tuttora ignoti, raggiungibili da qualche cunicolo ancora inesplorato (eventualità che il dottor Zahi Hawass, direttore responsabile degli studi sul complesso, rigetta a priori quasi come fosse eresia), si nota subito una singolare incoerenza strutturale: entro la struttura piramidale, gli spazi pieni sono in misura nettamente preponderante rispetto ai vuoti. Le mastabe rinvenute in altre necropoli egizie in genere, pur essendo assai meno imponenti esteriormente, spesso sono molto più eleganti e sfarzose al loro interno. Il concetto di tomba, secondo la tradizione dei testi funerari, era quello di seconda abitazione per la fase trascendente della vita del defunto. Le piramidi non sembrano decisamente luoghi abitabili, dato che la maggior parte dei cunicoli che collegano gli (scarsi) ambienti interni sono alquanto disagevoli da percorrere. Anche se un'analisi del genere non può dirsi probante, costituisce comunque un primo stimolo alla riflessione.

Le pietre parlano. La geometria delle strutture che esse compongono è più eloquente di molte relazioni tecniche, addirittura più illuminante dei misteriosi testi geroglifici che di tali strutture decorano le pareti interne.

Proprio la geometria ci offre un'evidenza assai più degna di considerazione. Proviamo a dare un'occhiata alla bella pagina del prossimo collegamento, e inquadriamo l'immagine della veduta aerea del plateau con la planimetria della zona monumentale. Robert Bauval, esperto ingegnere e ricercatore col pallino dell'egittologia ma, ahilui, dissenziente dalle interpretazioni canoniche, fece osservare qualche anno fa che l'allineamento delle Piramidi presenta sorprendenti analogie con la disposizione delle tre stelle della cintura di Orione, della quale approfittiamo della fotografia messa in rete dal Gruppo Astrofili Messier. Tale somiglianza, davvero impressionante, è messa in maggior risalto dal confronto fotografico di quest'altra pagina, opportunamente correlata con altre note di taglio astronomico.
Ecco che la funzione tombale del sito di Giza viene improvvisamente messa in discussione da importanti indizi, che mettono in risalto strette correlazioni di tutt'altra natura - una specie di "bussola celeste". Per quale scopo? Graham Hancock propone in merito alcune teorie suggestive, dovutamente supportate da testimonianze prese sul campo a Giza. Per ora bisogna porgere un enorme ringraziamento a Fabio, il traduttore italiano che si è sobbarcato l'onere di rendere accessibile l'interessante materiale dello scienziato statunitense. Per parte mia, ho ottenuto dallo stesso Robert Bauval il permesso di pubblicare analogamente una versione in lingua nostrana del suo sito web ufficiale, a cui punta il collegamento del paragrafo precedente - il professoree ha acconsentito, devo dire, con un entusiasmo ed una rapidità fuori del comune, fidandosi ciecamente di uno sconosciuto appassionato italiota; il campo di interesse di Bauval è più incentrato sulla specifica questione egizia, mentre Hancock ha formulato una teoria di carattere più generale circa le civiltà preistoriche, al cui proposito segnalo la pagina che ricalca il titolo del volume, Impronte degli Dei, in cui tale teoria è esposta - non è un sito ufficiale, ma si propone, cito testualmente, di «fornire alcuni punti di "riflessione" su alcuni temi che hanno suscitato un certo interesse» - il che è perfettamente in linea con gli intenti del presente sito.

Per completare il discorso, ed aggiungere un ulteriore stimolo alla riflessione, si consideri che quanto detto circa la struttura megalitica delle Piramidi di Giza vale anche per i monumenti più antichi delle civiltà azteche, olmeche e maya - o quantomeno che si trovano nelle zone in cui tali culture prosperarono, giacché, come i loro omologhi egizi, tali monumenti parrebbero molto più antichi delle civiltà alle quali sono tradizionalmente associati, e del pari denotano conoscenze di ingegneria, geologia ed astronomia nettamente fuori della portata di qualsivoglia civiltà antica finora nota. Parliamo di strutture orientate secondo i punti cardinali terrrestri, quando non secondo riferimenti celesti quali pianeti e stelle, con scarti di qualche secondo d'angolo: i migliori risultati dell'architettura moderna riescono ad ottenere allineamenti con deviazioni dell'ordine del grado, che già di per sé sarebbero soddisfacenti in quanto invisibili ad occhio nudo. Se non si tratta di prove, sono comunque indizi molto significativi, sui quali varrebbe la pena indagare a fondo.

Le note contenute nella presente pagina non vogliono necessariamente dimostrare alcunché, quanto stimolare un confronto, che sia la premessa ideale ad uno studio serio e scevro da pregiudizi, in grado di fare la massima chiarezza sulla questione dell'origine della civiltà umana. Pertanto, lancio l'invito a visitare anche i siti egittologici ufficiali - magari a partire proprio da quello del dottor Hawass, non fosse altro che per motivi istituzionali e, diremmo, di buona creanza: il dottore, oltre a costituire la massima autorità accademica nel campo, è anche il padrone di casa, e il fatto di dissentire da certe sue interpretazioni non autorizza comunque a svilirne il lavoro (sebbene, invero, egli si dia molto da fare per tentare di svilire il nostro: ma se ne seguissimo i metodi, come potremmo proclamarci "migliori"?). A un giudizio personale, per chi fosse interessato ad approfondire la questione egizia, un buon percorso documentale è quello proposto dal Tempio di Maat, dal sapore meno cattedratico ma che fornisce un'esplorazione a tutto campo delle teorie egittologiche, e cita una messe di validi riferimenti bibliografici nella sezione "Libri". Per finire, un suggerimento: può essere intellettualmente divertente avvicinarsi a templi e bassorilievi dopo essersi documentati meglio sui geroglifici, per avvicinarsi con minori difficoltà alle meraviglie dei loro antichissimi artefici: la verità, ammesso che ve ne sia una, potrà scaturire unicamente da una ricerca aperta a tutto campo, in stretta collaborazione. E ciò vale sia per i misteri di Giza e di Chichèn Itzà, che per tutto quanto vi è ancora da scoprire sulle Origini dell'Uomo.

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