Il fruscìo delle pagine...

Edizione del 29 giugno 2000

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INTRODUZIONE

La Rete e i libri: argomento su cui si sono riversati autentici torrenti di parole. Non sono pochi coloro i quali si sbilanciano sul fatto che prima o poi il binomio elaboratori elettronici - Internet finirà con l'estinguere il caro, amato libro cartaceo rilegato.
Al di là delle questioni più o meno speculative, alle quali il sottoscritto non darà il suo contributo di opinione (non comunque in questa sede), si possono citare almeno un paio di dati di fatto. Che sono i seguenti:

Dunque il de profundis per le rilegature, almeno per il momento, è rinviato. Vi è chi sostiene che il possibile scenario futuro non vedrà comunque la totale scomparsa del libro, quantomeno nel settore specifico delle pubblicazioni di pregio, per le quali non mancherà una clientela esigente, raffinata, colta e necessariamente ricca, assolutamente non disposta a rinunciare al piacere di sentire il frusciare di eleganti pagine in carta di qualità, racchiuse in copertine lussuose, recanti titoli in doratura dal vago sentore accademico. Laddove invece l'editoria elettronica potrebbe soppiantare le pubblicazioni a più larga diffusione - libri tascabili, forse anche certe riviste, e simili. Ma queste sono opinioni speculative, che riporto unicamente per dovere di cronaca, senza prendere né l'una né l'altra parte, in onore a quanto asserito in apertura; mi limiterò, per dimostrare la perfetta compatibilità della Rete come mezzo divulgativo letterario, ad inserire un rimando ad una fra le tante pagine di ricerche librarie.
In ogni caso, indipendentemente dal tipo di supporto adoperato, si sta verificando qualcosa di intellettualmente stimolante; "la gente", termine vagamente qualunquista e generico per indicare le persone come me e come voi, sta lentamente ricominciando a leggere.
E a scrivere.

LEGGERE E SCRIVERE OGGI

L'informatizzazione sta invertendo il processo avviato dalle trasmissioni televisive. Il tempo trascorso assistendo a queste ultime ha ovviamente ridotto all'osso quello mediamente dedicato alla lettura, con eccezioni purtroppo rare.
L'utilizzo della Rete, però, obbliga necessariamente a compiere il passo inverso. Gli ipertesti sono pur sempre dei testi, e che io sappia la maniera migliore di assimilare un testo è pur sempre quella di leggerlo - tralasciando, per il momento, eventuali esperienze di tipo parapsicologico, per le quali rimando all'ambiente appositamente allestito. Chi poi pubblica qualcosa in rete, fintantoché quest'ultima è basata sui protocolli ipertestuali sarà costretto a scriverlo. La posta elettronica sta facendo rifiorire un genere che pareva irrimediabilmente decaduto, quale lo scambio epistolare. Le chat, fin quando non saranno snaturate dalla diffusione di massa delle microcamere digitali, si basano su frenetiche azioni di lettura e scrittura. Devo continuare, o basta così?

Un appassionato di letteratura di vecchio stampo non può che essere compiaciuto della piega che stanno prendendo gli eventi. Gli obbligati esercizi di scrittura che citavo nel precedente capoverso, inevitabilmente ripetuti da chi dedica del suo tempo a quelle attività, dovranno pur comportare un globale miglioramento nella padronanza della lingua scritta, sia pur minimo. E si sa che, dove aumenta la quantità degli scriventi e il numero complessivo di ore che trascorrono a far pratica più o meno volutamente, aumenterà di conseguenza anche la quantitò degli scritti. E più alta è la quantità, maggiore è la possibilità di trovarvi qualcosa anche di una certa qualità.

Si consideri poi che, tramite la Rete, chiunque può trovare la maniera di pubblicarsi svincolandosi dalle forche caudine degli editori. Poniamo il caso che un aspirante scrittore di ottimo talento venga inizialmente stroncato da uno o più editori, che pongono condizioni insoddisfacibili per prendere in esame il suo dattiloscritto. Se tale aspirante scrittore ha il desiderio di mettersi in vetrina comunque, anche rinunciando momentaneamente a eventuali profitti, tramite Internet ne ha la possibilità. Ovviamente, cito un caso limite; ma a volte anche da un semplice caso può scaturire qualcosa di importante. Quanti romanzi nel cassetto non vedranno mai la luce? Eppure ce ne sono, probabilmente molte migliaia. Gli aspiranti scrittori a piede libero sono invero moltissimi, e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie potrebbero aiutare i migliori fra essi a mettersi in luce. Cito un collegamento per tutti: il bel sito di Scrittura fresca. Di qui si può raggiungere l'Anello relativo alla letteratura emergente.

MEGLIO LA NARRATIVA O LA DIVULGAZIONE?

La questione, posta in tali termini, se il genere narrativo offra più o meno di quello divulgativo, è probabilmente oziosa. Intanto, bisognerebbe specificare che cosa si intende per «meglio». Da un punto di vista contenutistico, tale comparazione è infatti fortemente soggettiva: chi ama leggere racconti e romanzi finirà per prediligere la narrativa, e chi invece pone l'accento sulla crescita culturale si tufferà nella saggistica.
D'altra parte, un titolo al paragrafo bisognava darlo. E doveva rendere l'idea di quelli che, fondamentalmente, sono i due grandi ceppi della produzione letteraria di ogni tempo e luogo. Va da sé che si scrive per due motivi fondamentali: o per favoleggiare, con ciò intendendo ogni qualsivoglia genere di racconto inventato più o meno esteso, o per istruire. I fratelli Andersen da un lato, e Piero e Alberto Angela dall'altro, con infinite gradazioni intermedie. Sorvoliamo momentaneamente la prosa giornalistica, che è letteratura assai particolare.

Occorre una precisazione: non è il genere che qualifica l'opera. Vi sono romanzi molto più pedanti della maggior parte dei saggi, come d'altro canto vi sono testi divulgativi agili ed avvincenti come le migliori trame d'avventura. Buoni e cattivi autori vi sono dall'una come dall'altra parte.

Detto questo, veniamo al punto. Vi è un filone intermedio meravigliosamente intrigante; ed è quello che potremmo definire dei "romanzi di divulgazione". In medio stat virtus, recita l'antico motto, che per una strana coincidenza vale anche in questa sede. Ignoro se la categoria di romanzi in esame abbia anche un nome proprio, ma la cosa non ha poi grande importanza, basta inquadrare bene il concetto. In questo caso parliamo di racconti dall'ambientazione particolare, solitamente di genere storico o scientifico, in cui l'intreccio è intessuto a filo doppio, e l'azione si fonde con la Storia, o con la specializzazione dei protagonisti. Così, man mano che si procede nella lettura, la cura dei particolari e la precisione delle nozioni finisce per scolpire qualche concetto nella mente del lettore.
Tanto per non fare nomi, leggendo con un minimo di attenzione Congo di Michael Crichton si finisce per imparare qualcosa di primatologia, di comunicazioni satellitari e di rilevazione geologica; laddove Il nome della rosa fornisce un quadro fedele della lotta antiereticale nel periodo trecentesco - i più puntuali vi trarranno anche precise indicazioni in merito alla teoria occamista dell'interpretazione dei segni, oltre a una pletora di citazioni dalla mistica medioevale. Non dico che in questo caso la narrativa sia al servizio della cultura, ma quantomeno vi si accompagna molto da presso.

Il rischio è quello di trascendere. Ovvero, per l'autore molto padrone della materia, di stendere un testo che, invece che istruire, richieda d'istruirsi preventivamente per potervisi addentrare. Se torniamo al grande romanzo di Eco, è arduo che chi non sia fresco di studi sui conflitti fra papi e imperatori riesca a orientarsi pienamente, fra le sfumature dei giochi di potere in cui si dibattono i monaci della vicenda. Pure, il testo è comunque affrontabile con una certa comodità; ma conosco molti che, non sufficientemente esperti di massoneria, si sono dovuti arrendere prima della ventesima pagina del Pendolo di Foucault. Comunque la si metta, le opere letterarie più stuzzicanti sono senz'altro queste; troppo facile porsi di fronte al testo e buttarlo giù come fosse acqua. È senza dubbio più divertente, da un punto di vista intellettuale, una prosa che vi lancia in continuazione piccole sfide, sottili provocazioni nei confronti della vostra elasticità mentale. Alla fine, tali sforzi verranno comunque ricompensati: nella peggiore delle ipotesi, a fronte di qualche noia, se ne sarà imparata qualcuna in più.

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L'UNIVERSO PARALLELO DI J.R.R. TOLKIEN

Nel filone letterario, merita senz'altro uno spazio a parte la magistrale opera di John Ronald Reuel Tolkien.

Il formidabile linguista britannico è tradotto, amato, studiato, imitato da un numero esorbitante di appassionati in tutto il mondo. Non è retorica: una rapida ricerca in Rete dimostrerà che, dall'Europa settentrionale all'Asia, passando ovviamente per gli immancabili Stati Uniti d'America, i siti dedicati al Maestro proliferano costantemente (per averne un riscontro immediato, vedere la sezione sottostante, dove si dà una sommaria analisi del fenomeno). E pensare che, alla base di un caso letterario di simile portata, vi erano ben altre ambizioni che non quelle di progettare e pubblicare un best-seller.

L'autore e le opere: la perfezione di un genere

Il pilastro di tutti i romanzi fantastici nacque praticamente come conseguenza del vero, principale diletto intellettuale di Tolkien. Come riportato con maggior dovizia di particolari da Helge Fauskanger, nei saggi introduttivi "A mo' di spiegazione" e "Il vizio non troppo segreto di Tolkien", riportati nel mirror del suo sito (il riferimento è sempre alla sezione di cui sopra), il Maestro fu un linguista per diletto fin da quando era fanciullo, molto tempo prima di diventarlo anche di mestiere: egli trovò magnifiche soddisfazioni nell'ideare nuovi, astrusi linguaggi. Il romanzo, che inevitabilmente non poteva non essere un fantasy, nacque come idea successiva, per collocare in un mondo vero e proprio i linguaggi in questione. Si può dire che questa non è nemmeno l'idea di base più singolare fra quelle che diedero vita ai grandi romanzi: pensare all'editto ritrovato di Manzoni. Nel caso di Tolkien, il pensiero creativo di tipo letterario quantomeno seguitò ad un altro tipo di pensiero creativo, e non da desideri compulsivi (quali gli incubi da cui Dario Argento trae spunti cinematografici) o da trouvailles più o meno fortuite.

Etichettare le saghe della Terra di Mezzo come puro e semplice fantasy rischia comunque di passare per eccesso di semplificazione. Il fenomeno alla base del successo dei romanzi tolkieniani sta proprio nella peculiarità delle varie fasi di lavorazione attraverso le quali fu portato a compimento, e in ragione delle quali, forse estremizzando le conclusioni del ragionamento, si può attribuire ai romanzi suddetti un'altra valenza.

Ci troviamo in presenza di un lavoro preparatorio forse senza precedenti al mondo. La meticolosa costruzione di Arda, della sua storia, dei suoi abitanti, delle sue leggi e delle sue leggende, è la sublimazione della paziente opera ricostruttiva che spetta al narratore, allorché getta le fondamenta dell'ambientazione del suo romanzo.
A differenza degli esempi precedenti, ovviamente, Tolkien non poteva avere alcun riferimento concreto nel mondo reale, per la messa a punto della storia degli Elfi. Bene o male, un Wilbur Smith ha a disposizione migliaia di pagine di storia egiziana e intere sale di musei archeologici, quando ha la necessità di costruire una scena che si svolge nel palazzo del Faraone: sebbene l'Egitto dinastico si collochi ormai in una dimensione temporale decisamente lontana, alcuni punti fermi per risalire a qualche deduzione attendibile ci sono. Si possono vedere, studiare, toccare. Quando leggiamo di una barca che scivola dolcemente sulle acque del Nilo, non sarà necessario specificare molto altro: il grande fiume è sempre lì, più o meno dove è sempre stato (salvo nei punti dove l'ingegneria ne ha alterato il percorso); molti lo hanno addirittura visto, ci si sono perfino bagnati. Delle processioni del Faraone possiamo avere un'idea sufficientemente realistica.
Ma se Tolkien ci dice che nella Terza Era gli Uomini non entravano più in Fangorn perché ne avevano paura, il discorso è diverso. Bisogna avere ben chiaro perché le cose, in quel mondo, andarono in modo che gli uomini ancora oggi guardano a Fangorn come a un luogo infido. E non è necessario che il lettore lo sappia subito; può anche venirlo a scoprire lentamente, indizio dopo indizio, secondo la bravura del narratore a seminarne. L'autore, però, deve conoscere bene la storia di Fangorn (e di tutti i luoghi e i personaggi), per sapere come reagiranno i protagonisti della storia venendone in contatto. E per conoscerla, deve delinearne fino al minimo dettaglio.
Considerando che la vicenda de Il Signore degli Anelli trae origine dagli eventi che si susseguirono a seguito della creazione del Mondo, si può capire di quale portata deve essere stata l'opera di predisposizione di Tolkien. Bisognava ricostruire miliardi di anni di storia, mitologia, tradizioni, evoluzione biologica delle creature viventi, geologia, climi...
Ne abbiamo un significativo esempio ne Il Silmarillion, raccolta di vario materiale sullo status della Terra di Mezzo dalle origini fino alla più tarda epoca degli Hobbit. Pur essendo un volume di oltre 450 pagine, costituisce soltanto un piccolo campione della massa di scritti mitologici (e "cosmologici") lasciata da Tolkien, e che il figlio Christohper sta via via riarrangiando per consentire di pubblicarne altri stralci - i Racconti Perduti, Racconti Incompiuti, Racconti Ritrovati e via redigendo. Un lavoro prezioso, che permette anche di ricostruire l'evoluzione delle concezioni sulla Terra di Mezzo, che si sono succedute negli anni nella fervida immaginazione del loro autore.

In questo senso, i romanzi di Tolkien non sono molto differenti dai romanzi storici. Il romanzo storico si basa sugli annali e sul patrimonio culturale mondiale; Tolkien si basò sul patrimonio da lui stesso ricostruito, appunto dopo appunto, in innumerevoli quaderni e fogli sciolti. Ma una volta ricreata l'ambientazione, il gioco è lo stesso di Wilbur Smith, con gli Elfi al posto dei Faraoni.

Il risultato è di un realismo sconcertante, che finisce per appassionare il lettore oltre ogni suo desiderio. Il Signore di Spettri che cala dal cielo sul dorso di un enorme rettile volante, simile ad uno smisurato pterodattilo, dà al lettore un'impressione di realtà che, per fare un esempio non troppo calzante, i gatti parlanti di Cassola non danno. Infatti, del grande sauro volante sappiamo tutto: dove fu ritrovato, come fu corrotto dall'Oscuro Signore per i suoi biechi scopi... Mentre i ben più concreti gatti, che io sappia, mai hanno parlato con voce, e ben scarse sono le possibilità che vi riescano. Al di là che Il paradiso degli animali utilizzi le suddette creature unicamente a scopo metaforico (ecco perché l'esempio utilizzato non è perfettamente calzante), possiamo ben essere sicuri che quella di Cassola è pura invenzione narrativa, quando invece le tecniche Elfiche per domare i cavalli ricordano tanto quelle dei nativi d'America - altra stirpe che privilegiava il rapporto con gli Spiriti Creatori...

Data la spiegazione del fascino di Tolkien, vediamo ora di quantificarne la portata.

Le Case Accoglienti italiane

Mentre nel resto del mondo i movimenti culturali ispirati a Tolkien sono di una vivacità impressionante, in Italia siamo ancora piuttosto indietro, almeno per quanto riguarda la presenza in Rete.

Il motivo è presto spiegato. La maggior parte delle opere inerenti alla Terra di Mezzo cercano ancora disperatamente un volenteroso traduttore italiano - tanto per non fare nomi, il corposo patrimonio contenuto nei dodici volumi delle Storie della Terra di Mezzo, di cui ad oggi non si va oltre l'edizione in lingua inglese; cosicché, riviste, circoli e pubblicazioni varie sono quasi esclusivo appannaggio del mondo anglosassone.

E l'Italia? Beh, qualcosa si muove. È di qualche tempo fa la pubblicazione del progetto Italian Tolkien Page (a proposito di minoranze linguistiche!), poi confluito nel più ampio Eldalië, il cui chiaro intento è quello di costituire un punto di riferimento per chiunque, nella penisola, sia mosso dal desiderio di collaborare al reperimento e alla diffusione di vario materiale sull'universo parallelo del grande autore. L'omonimo progetto è perennemente a caccia di volenterosi e appassionati collaboratori.
Già disponibile in rete il dizionario enciclopedico sulla Terra di Mezzo in italiano, a cura del medesimo staff, vi è un'altra risorsa: dietro gentile concessione del suo autore, siamo in grado di offrire agli appassionati italiani il mirror del sito Ardalambion, in cui si pubblica quanto c'è da sapere a proposito degli idiomi parlati nelle tre Ere della Terra di Mezzo (la prova che non esageravamo, parlando della globalità della passione per Tolkien, è in fondo alla pagina principale del sito in esame: fra i link, vi sono un mirror spagnolo, uno polacco e uno coreano. L'autore della versione originale è norvegese. Di più non si può dire).
Altre informazioni di buon interesse si possono trovare navigando nel bel sito della Gilda degli Anacronisti.

Speriamo, col tempo, di riuscire ad assommare quanto più materiale, e rendere gli appassionati tolkieniani italiani - il cui numero è auspicabilmente destinato a salire con l'uscita della versione cinematografica della trilogia de Il Signore degli Anelli - liberi dalla schiavitù della lingua inglese!

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